La NAFLD (non-alcoholic fatty liver disease) è definita come un accumulo di grasso nel fegato che non è causato dal consumo di alcol. Si stima che la NAFLD colpisca tra il 30 e il 40% degli adulti negli Stati Uniti, rendendola una delle cause più comuni di malattia epatica nella nazione. Obesità, alti livelli di colesterolo, ipertensione e alti livelli di trigliceridi sono fattori chiave che contribuiscono alla NAFLD, e queste condizioni spesso derivano da una dieta ad alto contenuto di grassi. Ma non è solo il cibo che mangiamo adesso che deve farci preoccupare; la nostra salute potrebbe essere stata condizionata dagli alimenti che le nostre madri mangiavano durante la gravidanza. Negli ultimi anni, un numero schiacciante di studi ha dimostrato che la dieta materna può lasciare un segno negativo sul bambino in via di sviluppo. Nel 2017 uno studio ha riportato che le future mamme che consumano una dieta ad alto contenuto di grassi possono aumentare il rischio per i loro figli, e persino i nipoti, di sviluppare tumori al seno. La ricerca ha anche dimostrato che una dieta povera materna può alterare i batteri intestinali (microbiota) della prole in un modo che li rende inclini all’obesità e alle condizioni associate. Nel 2018, ricercatori dell’Università del Colorado hanno scoperto che il coenzima PQQ ha impedito la progressione della steatosi epatica non alcolica (NAFLD), nei topi le cui madri sono state alimentate con una dieta ricca di grassi.
Il PQQ è un composto antiossidante presente in vegetali come kiwi, peperoni verdi, sedano, prezzemolo e papaya e nel latte materno umano. Ciò significa che può aiutare a proteggere il nostro corpo dai radicali liberi, che sono molecole in grado di danneggiare il DNA e altri componenti cellulari. Sempre più spesso, le prove suggeriscono che l’esposizione all’obesità materna crea un ambiente infiammatorio in utero. Questo porta a interruzioni post-natali di lunga durata del sistema immunitario innato della prole e alla salute batterica dell’intestino, che può aumentare il rischio di sviluppo di steatosi al fegato. A tal fine, i ricercatori hanno somministrato ai topi in gravidanza una dieta occidentale e monitorato la salute della loro prole. Il team ha scoperto che il peso di questa prole era di circa il 56% superiore a quello di una progenie nata da topi nutriti con una dieta controllata. I topi nati da madri alimentate con la dieta ricca di grassi hanno anche dimostrato cambiamenti nei batteri intestinali associati allo sviluppo di steato-epatite non alcolica, una forma di NAFLD in cui l’accumulo di grasso nel fegato è accompagnato da infiammazione. Tuttavia, quando i topi gravidi hanno ricevuto PQQ insieme alle loro diete iperlipidiche, i ricercatori hanno scoperto che i cambiamenti nella loro prole associati alla steato-epatite sono stati invertiti, e hanno anche mostrato un aumento di peso inferiore rispetto ai figli nati da madri che non avevano ricevuto PQQ.
Ma non è l’unica azione del PQQ sul metabolismo. Studi condotti su ratti osteoporotici per carenza di testosterone provano che i gruppi di animali con supplemento alimentare di PQQ non vanno incontro alle anomalie ossee dei normali ratti con osteoporosi. L’effetto è stato confermato in topi geneticamente modificati per non avere il gene Bmi-1, nei quali il PQQ ha esercitato effetto antiossidante stimolando la crescita degli osteoblasti. Un gruppo indipendente di ricercatori ha anche dimostrato che il PQQ aumenta il fenomeno chiamato biogenesi mitocondriale. Questo processo è promosso dalla proteina SIRT1 (sirtuina-1), che è una delle proteine coinvolte nel processo di invecchiamento cellulare governato dalle calorie. Dopo stimolo sulla sirtuina-1, questa trasmette un segnale nucleare per stimolare la produzione di proteine ed altri componenti dei mitocondri, la centrale energetica cellulare. Ma c’è di più: il PQQ ha un altro bersaglio dentro le cellule, l’enzima lattico deidrogenasi (LDH-A). Questa è un componente della glicolisi, la catena per la produzione di energia dal glucosio. Quando si lega al PQQ, l’enzima non produce molto acido lattico e canalizza l’energia verso i mitocondri. Quindi, un modo con cui il PQQ esercita i suoi effetti biologici potrebbe essere quello di bilanciare la produzione di energia cellulare e quella dei radicali liberi ossidanti (ROS).
Questa sua regolazione dello stress ossidativo sarebbe utilissima in condizioni patologiche in cui la produzione di radicali liberi sta alla base del processo. Fra queste lo scompenso cardiaco cronico, che miete ogni anno centinaia di migliaia di vittime in tutto il mondo. La malattia cardiovascolare è la malattia con il più alto tasso di mortalità associato in tutto il mondo. L’insufficienza cardiaca è la principale causa di mortalità cardiovascolare associata e l’ipertrofia miocardica è uno stadio patologico comune in numerose malattie cardiovascolari, che è ampiamente riconosciuto come un fattore di rischio che porta a disfunzione cardiaca o eventuale insufficienza cardiaca. È stato dimostrato che il PQQ esercita effetti cardioprotettivi efficaci e ha dimostrato di essere più efficace nel proteggere i mitocondri dai danni da ossidazione da ischemia / riperfusione rispetto al metoprololo, un efficace farmaco cardioprotettivo. La risposta infiammatoria è uno dei punti caldi della ricerca nella patogenesi dell’ipertrofia cardiaca. Ma le neuroscienze non sono da meno: la quasi totalità delle malattie neurodegenerative, dal Parkinson alla sclerosi multipla, alla SLA vede nello stress ossidativo una causa scatenante o di mantenimento del processo. E il deficit dei mitocondri in queste malattie è ampiamente provato. Antiossidanti che proteggono i mitocondri sono risultati parzialmente efficaci sia nello scompenso cardiaco (coenzima Q) che in alcune neurodegenerazioni (idebenone, acido lipoico).
Se è vero che il PQQ può stimolare o migliorare il funzionamento dei mitocondri e, al tempo stesso, proteggere le cellule dall’azione dei ROS potrebbe diventare un difensore della salute da cui avere grandi aspettative future.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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