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Cancro al cervello: per risparmiare tempo e denaro, si sfruttano molecole già consolidate

Il glioblastoma multiforme (GBM), il tumore maligno del sistema nervoso centrale più frequente e letale, è caratterizzato da una prognosi eccezionalmente triste, con un tempo mediano di sopravvivenza del paziente di 14,6 mesi, che rende la gestione del paziente GBM un’esigenza clinica insoddisfatta. L’attuale trattamento in pazienti di nuova diagnosi consiste nella resezione chirurgica massima ben tollerata, seguita da radioterapia più chemioterapia concomitante e adiuvante utilizzando il farmaco alchilante temozolomide. Questo schema terapeutico è rimasto sostanzialmente invariato per 15 anni e utilizza un singolo composto antitumorale. Nonostante l’identificazione di geni pilota targetizzabili nel GBM, la sua estrema eterogeneità intra-tumorale e la conseguente plasticità lo rendono resistente alle terapie mirate. Gli sforzi considerevoli e continui nella ricerca di nuovi approcci farmacologici sono fortemente incoraggiati a combattere una condizione così grave. Secondo le norme attuali, dalla Food and Drug Administration (FDA) o dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA), i nuovi farmaci potenzialmente utili devono percorrere una “strada lunga e tortuosa” per raggiungere efficacemente il capezzale.

Pertanto, la riproposizione razionale e motivata di farmaci clinicamente ben caratterizzati può rappresentare un’alternativa interessante, rendendo possibile lo sviluppo di nuove terapie utilizzando vecchi composti la cui somministrazione clinica è associata a rischi più bassi, tempi più brevi da banco a letto e costi più bassi. La clorpromazina (CPZ, Largactil, Thorazine), progenitrice delle fenotiazine dei composti antipsicotici triciclici, è stata impiegata in modo efficace e sicuro per oltre mezzo secolo nel trattamento dei disturbi psichiatrici. Il suo ruolo in queste patologie è essenzialmente attribuito alla capacità di agire come un potente antagonista del recettore della dopamina D2 (D2R). Oltre a questo meccanismo di azione farmacologica ben consolidato, la CPZ ha attirato l’attenzione a causa di una notevole serie di effetti biomolecolari osservati nelle cellule tumorali che sono ben descritti nella letteratura scientifica dagli anni ’80. La CPZ è citotossica per molte cellule tumorali in vitro, comprese le cellule tumorali cerebrali che inducono la frammentazione nucleare; e nelle cellule non neoplastiche la CPZ mostra un’attività citostatica reversibile, il che significa che rallenta la replicazione cellulare perché altera i movimenti dei cromosomi durante la corretta replicazione (mitosi).

Altri gruppi di ricerca hanno riferito che CPZ è in grado di interferire con la segnalazione cellulare coinvolta nella replicazione cellulare e nella sopravvivenza, come l’asse PI3K-Akt-mTOR. Interagendo con questo percorso di segnalazione, può influire anche sull’autofagia, il che significa la capacità delle cellule di distruggere parte di sé stesse per riciclare aminoacidi, zuccheri e basi di DNA per un nuovo ciclo di replicazione. Questi effetti sono stati riportati anche nelle cellule di glioma. È interessante notare che la CPZ è anche nota per inibire il recettore AMPA, che è stato recentemente riconosciuto come altamente espresso nel GBM e fondamentale nel guidarne la crescita e la progressione. Inoltre, la CPZ sembra essere efficace anche nell’inibire il recettore del glutammato NMDA, descritto come essenziale per la nidificazione e la crescita delle metastasi cerebrali dal carcinoma mammario. Una serie così notevole e sfaccettata di effetti della CPZ sulle cellule maligne di glioma in vitro, ha motivato un team di ricerca italiano dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena a progettare una sperimentazione clinica che impiega questo composto in pazienti con GBM. Dato che la CPZ è stata utilizzata nella pratica clinica dagli anni ’50, tutti i suoi dati tossicologici sono ben consolidati.

Ciò significa che non è necessario eseguire un test di Fase I. Il team inizierà una sperimentazione di Fase II che combina CPZ 50mg / die + temozolomide 200mg per 28 giorni. I ricercatori arruoleranno solo i pazienti portatori di ipo-metilazione del gene MGMT, vale a dire quelli con prognosi peggiore a causa della loro intrinseca resistenza alla temozolomide. L’endpoint primario di questo studio sarà la valutazione della tossicità del trattamento combinato. L’endpoint secondario sarà la valutazione dell’attività clinica, in termini di sopravvivenza libera da progressione. Il trial è già stato approvato lo scorso settembre 2019 ed è pubblicato sul sito web correlato al National Institutes of Health (NIH) ClinicalTrials.gov col codice identificativo NCT04224441.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Venkataramani V, Tanev DI et al. Nature. 2019; 573(7775):532-38.

Kurita JI et al., Nishimura Y. Sci Rep. 2018 Sep 13; 8(1):13763.

Pinheiro T et al. Biochem Biophys Res Comm. 2017; 494:477-83.

Oliva CR et al., Griguer CE. Oncotarget 2017; 8(23):37568-37583. 

Shin SY, Lee KS et al. Carcinogenesis. 2013; 34(9):2080-2089.

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