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Lotta all’osteoartrosi: da una pianta commestibile una molecola che rallenta il processo

L’osteoartrite (OA) è la principale causa di disabilità in tutto il mondo e negli Stati Uniti il ​​numero di pazienti supera i 22,7 milioni. Alla maggior parte dei pazienti è stato precedentemente descritto di sperimentare restrizioni di attività attribuibili all’artrite senza alcun trattamento valido ad eccezione della sostituzione totale dell’articolazione nella fase avanzata. Inoltre, si prevede che l’incidenza e la scala di OA siano in costante aumento negli anni seguenti a causa della maturazione della popolazione, dei tassi di obesità ascendenti e di una grande quantità di lesioni traumatiche alle articolazioni. I suoi cambiamenti patologici sono comunemente caratterizzati dalla progressiva perdita di cartilagine, infiammazione sinoviale, rimodellamento osseo subcondrale e formazione di osteofiti. Come ulteriore commento, l’accumulazione di prove ha dimostrato che i mediatori infiammatori, in particolare l’interleuchina-1 beta (IL-1β), svolgono un ruolo significativo nel progresso dell’OA. Precedenti studi hanno rilevato l’importanza del fattore di trascrizione NF-κB sulla patogenesi e sulla progressione dell’OA. NF-κB modula l’espressione di geni infiammatori come iNOS, COX-2, metalloproteasi e le proteeasi ADAMTS.

La prostaglandina (PGE2) prodotta da COX-2, come fattori correlati all’infiammazione durante lo sviluppo di OA, può promuovere fortemente l’espressione di ADAMTS5 e MMP, che danneggiano il tessuto cartilagineo. Sebbene ci siano già farmaci per l’OA sul mercato, come FANS, acido ialuronico, glucosamina, condroitin-solfato, la maggior parte di essi ha dimostrato di rivivere il dolore delle articolazioni, ma è ancora discutibile se questo possa davvero prevenire la progressione dell’OA sono stati inoltre segnalati effetti collaterali. Pertanto, i ricercatori stanno cercando di trovare una pianta naturale più sicura derivata dagli agenti, che potrebbe davvero attenuare l’OA con piccoli effetti collaterali. L’Arctigenina (ATG), un lignano aromatico, si trova nel seme dell’Artium lappa L. (A. lappa), che è comunemente noto come bardana maggiore, una pianta commestibile molto popolare in Cina, Corea e Giappone, che cresce anche nell’area del Mediterraneo, in particolare nella parte meridionale. In tutto il mondo, sempre più ricercatori hanno aderito alla tesi secondo cui l’ATG possiede un prezioso valore farmacologico, tra cui effetti antiossidanti, protezione neuronale, antivirali e antinfiammatori.

E così un team congiunto delle Università di Shanghai e Wenzhou ha indagato l’azione di questa sostanza naturale sui modelli di osteoartrite in laboratorio. Alle prove di tossicità, la molecola non è risultata tossica per le cellule in coltura alle concentrazioni plasmatiche che si ritrovano per i classici anti-infiammatori (FANS). Il team ha confermato che l’ATG è un inibitore dell’attivazione del fattore nucleare NF-kB, come da altri studi precedenti, e riduce la degradazione della matrice extracellulare indotta dall’interleuchina. Questo si è tradotto nella minore sintesi e secrezione di altri enzimi e proteasi infiammatorie. La sorpresa è stata che per bloccare questa proteina, l’arctigenina non interferisce con il suo classico attivatore a monte, la IKK-alfa. Preferisce bloccare, invece, un altro asse cellulare chiamato PI3K/Akt. Tramite analisi di modellamento molecolare al computer, i ricercatori hanno anche mappato il sito in cui l’ATG si infila nell’enzima PI3K. Dopo altre prove in vitro, i ricercatori sono passati a quelle in vivo, sul modello sperimentale di topo con osteoartrosi o DMM. Alla dose di 30mg/kg, l’ATG è riuscita a mitigare molto bene gli effetti infiammatori, provando che il composto, oltre che in vitro, agisce anche nei sistemi viventi.

Purtroppo la molecola non è riuscita ad arrestare la progressione della malattia, ma solo a rallentarla. Tuttavia, i ricercatori credono che l’ATG non sia una molecola da accantonare. Adesso si sa di più sul suo meccanismo d’azione e si dispone dei dati molecolari della sua interazione con proteine. Questo, secondo i ricercatori, potrebbe aiutare anche allo sviluppo di suoi derivati con maggiore potenza.

  • A cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.

Pubblicazioni scientifiche

Tang S, Zhou W et al. Cell Mol Med. 2020; 1-11.

La M. Osteoarthritis Cartilage 2019; 27:359-364.

Glyn-Jones S et al. Lancet 2015; 386:376-387.

Chen J et al. J Cell Biochem 2013; 114:245-249.

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