La malattia polmonare interstiziale (ILD) si riferisce a una serie di gravi problemi polmonari che influenzano la funzione di questo organo respiratorio. Questi problemi peggiorano facilmente e possono causare danni irreversibili che riducono l’aspettativa di vita di una persona. Non ci sono molte opzioni per poter gestire una ILD, specie quando si tratta di una broncopatia cronica (BPCO), dato che si tratta di una condizione con un danno polmonare irreversibile. La terapia inalatoria steroidea, i broncodilatatori, gli antiossidanti e l’ossigenoterapia sono i cardini per mantenere una accettabile qualità di vita. Fino ad un decennio fa, non c’erano molte conoscenze sulla possibilità di modificare l’evoluzione di questa condizione. Ovviamente l’abolizione del fumo di sigaretta e la perdita di peso nei casi di obesità erano (e sono ancora) gli unici fattori preventivi su cui agire. Ecco perché nel 2017 un team della Johns Hopkins Medicine di Baltimora guidato dal professor Erin Michos, ha esplorato diversi fattori di rischio modificabili per questa condizione. Lui ed il suo team hanno esaminato i dati medici di 6.300 partecipanti allo studio inizialmente reclutati per lo Studio Multietnico sull’Aterosclerosi (MESA).
La maggior parte di questi partecipanti (53%) erano donne e avevano in media 62 anni. Nella coorte, il 38% delle persone era bianco, il 28% era afroamericano, il 22% era ispanico e il restante 12% era di origine cinese. Il team è stato in grado di verificare che le persone con livelli ematici di vitamina D da bassi a intermedi fossero esposte più severamente a ILD rispetto ai coetanei con livelli raccomandati di questo nutriente cruciale. I partecipanti sono stati seguiti per oltre 10 anni e campioni di sangue sono stati raccolti ad intervalli. Il team ha cercato le quantità di 25-idrossivitamina D (25[OH]D). Tutti coloro che avevano meno di 20 nanogrammi per millilitro di 25(OH)D al basale, erano considerati carenti di vitamina D e il numero di persone con livelli così bassi era di 2.050. I partecipanti che avevano 20-30 nanogrammi per millilitro di vitamina D erano considerati con livelli intermedi di vitamina, e quelli con 30 nanogrammi per millilitro o più erano ritenuti avere livelli ottimali di vitamina D. Al basale, a tutti i partecipanti è stata data una scansione TAC del cuore (poiché lo studio MESA si occupava principalmente della salute cardiovascolare) che mostrava anche una parte dei polmoni di questi individui.
Dopo 10 anni dal momento della registrazione, a 2.668 partecipanti sono state inoltre fornite scansioni complete di TAC polmonari analizzate per segni di danni ai polmoni o anomalie. I ricercatori hanno scoperto che quelli con livelli bassi o anche intermedi di vitamina D avevano un rischio più elevato di mostrare i primi segni di ILD. È noto che la vitamina D attivata ha proprietà anti-infiammatorie e aiuta a regolare il sistema immunitario, che va storto in ILD. C’era anche evidenza nella letteratura che la vitamina D svolge un ruolo nelle malattie ostruttive del polmone come l’asma e la malattia polmonare ostruttiva cronica, e ora abbiamo scoperto che l’associazione esiste anche con questa forma di malattia polmonare. I ricercatori hanno notato che le scansioni TC dei polmoni dei partecipanti che non avevano livelli adeguati di vitamina D mostravano una maggiore quantità di macchie indicative di tessuto danneggiato, se confrontate con quelle dei partecipanti con livelli ottimali di vitamina D. Questi risultati sono rimasti validi, anche dopo che i ricercatori hanno adattato le loro analisi per tenere conto di potenziali fattori modificanti, come età, abitudine al fumo, obesità o mancanza di esercizio fisico regolare.
Inoltre, i partecipanti con deficit di vitamina D avevano anche il 50-60% di probabilità in più rispetto ai partecipanti con livelli ematici sani di questo nutriente di mostrare i primi segni di ILD. Gli scienziati potrebbero ora considerare, aggiungendo la carenza di vitamina D all’elenco dei fattori coinvolti nei processi patologici alla base della ILD. Ci sono stati negli ultimi anni studi clinici sugli effetti della vitamina D sulla prevenzione, la riesacerbazione dei sintomi e vari aspetti della vitamina sul terreno organico (tessuto polmonare, sistema immunitario, infiammazione) della malattia. Uno degli ultimi ha indagato gli effetti della somministrazione mensile di vitamina D sulla prevenzione dei sintomi in caso di malattia già stabilita. In particolare, dei ricercatori della Auckland University della Nuova Zelanda hanno studiato se l’integrazione di vitamina D prevenisse le esacerbazioni di queste condizioni. I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a una dose orale iniziale di 200.000 UI di vitamina D3 seguita da 100.000 UI al mese o al placebo, con un periodo medio di follow-up di 3,3 anni. Tra i 5110 partecipanti, 775 avevano asma o BPCO all’inizio dello studio.
Il livello medio basale di 25OHD nel sangue era di 63 nmol/L; il 2,3% dei soggetti lo aveva <25 nmol/L. Nel complesso, gli scienziati hanno scoperto che l’integrazione di vitamina D non ha influenzato il rischio di esacerbazione. Tra quelli con 25OHD al basale <25 nmol/L, tuttavia, l’hazard ratio era 0,11 (p = 0,001). Sebbene l’integrazione mensile di vitamina D non abbia avuto alcun impatto complessivo sul rischio di esacerbazioni di asma o BPCO, sono state trovate prove di un probabile beneficio tra quelli con grave carenza di vitamina D. Questi dati sono stati rafforzati da un altro studio pubblicato lo scorso Aprile da parte di un team dell’Università di Mysore in India. E’ stato confermato che tutti i soggetti con BPCO e livelli di vitamina D <20ng/ml avevano non solo alta probabilità di ammalarsi di ILD, ma anche un maggiore rischio di riesacerbazione in caso di malattia conclamata. Con l’aggiunta che la carenza di vitamina D condiziona il peggioramento della BPCO indipendentemente dallo stile di vita, l’attività fisica o l’esposizione solare. Ci sono ancora dibattiti sul fatto che chi è affetto da una forma di ILD possa ricevere una terapia di mantenimento con vitamina D.
Nel caso dell’asma ci sono risultati ancora contrastanti: sono stati registrati studi dove l’integrazione con vitamina D non ha cambiato il decorso della malattia, avendo influenzato poco anche il rischio di ricadute. Nel caso della BPCO e condizioni simili la possibilità sembra più larga: la vitamina potrebbe avere un maggiore effetto antinfiammatorio considerato il maggiore intervento del sistema immunitario. E’ molto probabile che nel vicino futuro la vitamina D possa allargare l’armamentario per poter gestire in modo sicuro certe forme di malattia polmonare cronica, considerato il loro peso sanitario e sulla qualitàò della vita dei pazienti.
- a cura del Dr. Gianfrancesco Cormaci, PhD, specialista in Biochimica Clinica.
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